Metamorphoses: Una tavolozza cromatica che si tramuta in un etereo alfabeto emozionale.

Art

Nata a Locarno in Canton Ticino, l’artista Raffaella Soffiantini vive e lavora tra Lugano (Svizzera) e Carnago (Italia). È una pittrice e scultrice (si veda il suo bell’Autoritratto in bronzo), che, nella pittura, unisce una robusta struttura cromatica su un telaio liberamente informale e astrattamente lirico.

Raffaella Soffiantini

Raffaella è giunta alla pittura relativamente da pochi anni (precisamente dal 2017). In gioventù ginnasta di élite della Nazionale Svizzera di ginnastica ritmica, Raffaella si dedica ora con passione alla pittura e da poco anche alla scultura, in maniera solida e professionale, avendo le sue opere già un loro apprezzato enclave di mercato in Svizzera e in Nord Italia. Un lungo percorso di vita e professionale in altri campi, che ha saputo ‘travasare’ in quello delle arti figurative come prezioso sostrato di esperienze, senza le quali probabilmente non sarebbe mai giunta a dipingere o, almeno, non con questa valenza di forme e di contenuto, di tecnica ma anche di messaggio esistenziale che è peculiare della sua arte. Come avrebbero detto i Greci ed Aristotele, unione di Λόγος (Lògos, ragione, razionalità, struttura logica) e di Πάθος (Pathos, emozione, sentimento, empatia), ma sempre con ἦθος (Èthos), dove cioè è sottesa una profonda prassi di vita. Così, le sue forme colorate si tramutano, come sotto gli effetti di un’incantata metamorfosi antica, da ‘quadro cromatico’ a libro spirituale, a diario intimo e affabulante, che ti riconcilia spiritualmente con te stesso e con gli altri. 

L’opera della pittrice, nella sua astrazione lirica, rientra indiscutibilmente nel consolidato filone novecentista dell'Informale, ma pure in quello della Pittura Concettuale, tutta sospesa com’è tra Espressionismo Astratto ed Astrazione lirica. 

La pennellata astratta ed espressionista racchiude non solo e non tanto l'esperienza americana dell'Action Painting, del Dripping di Pollock e del Color Field di Rothko, quanto piuttosto quella europea (il Gestuale Segnico di Matheu e di Emilio Vedova; l'Astrazione Lirica di Antonio Corpora; il Materico di Burri) e, segnatamente, la grande tradizione tedesca, carica di prepotente emotività e di idealismo, ad iniziare dalla “gestualità dei sentimenti” di un Wols, aprendosi anche a quell'assemblaggio di oggetti sulla tela che ha caratterizzato il Nouveau Réalisme del più autentico Arman. Molteplicità di spunti culturali che l'artista fonde in un unicum del tutto personale, trasformandoli secondo una sua propria ed originale declinazione. Come ella stessa afferma, “via ogni tipo di etichetta, di catalogazione: si può essere più cose contemporaneamente”, pur, in ultima analisi, rimanendo sempre una singola e coerente identità.

Tali riferimenti a correnti artistiche, nelle quali essa può ritrovarsi, pur in differenti declinazioni ed intensità, è chiaramente limitato solo al fattore, per così dire, estetico, all'aspetto formale. Per capire veramente le sue opere bisogna considerarle anche nella componente più profonda e peculiare, in quella concettuale, che fa la vera differenza tra un piacevole dipinto, tecnicamente e formalmente corretto, e un’opera artistica. Dietro i suoi quadri vi è una forte energia vitale. In essi, infatti, essa trasmette, con soffuso pathos, tutte le sue esperienze di vita, la sua passione, le sue angosce, i suoi impulsi esistenziali. I suoi quadri intravedono pessimistiche nubi e vortici-gorghi tempestosi ed abissali, ma nel contempo dischiudono anche cieli di luce, di speranza e d'amore assoluto e universale. I risvolti freudiani del gesto della sua pennellata e dei suoi colori trasformano le sue opere (specialmente le ultimissime, create nel 2022) in ‘opere d'Arte’ proprio perché non si limitano alla pura estetica, ma sono viatici concettuali di una vita vissuta nei suoi aspetti di bellezza e di tribolazione, di quel ‘malessere’ esistenziale che ci fa maturare, con una comprensione della vita che prima non si aveva mai avuta e che la Soffiantini ci trasmette mediante la sua pittura. Oltre a descrivere le opere da un punto di vista storico-artistico, è interessante provare a dischiuderle alla comprensione e alla lettura più profonda da parte di coloro che le osserveranno. Per talune di esse possiamo parlare di una Bellezza che salva, divenendo, per coloro che le osserveranno, medicine di vita, per gli occhi e per lo spirito. L’arte, quando è veramente tale, altro non è che emanazione dell'anima ed energia che si coagula nel colore sulla tela. 

Si avverte talora quasi un precipitare nel gorgo abissale della depressione, nella sua inerzia che uccide lentamente, ma poi un pur difficoltoso riemergere agli interessi e alla vita, con una interpretazione nuova ed un’empatia con essa di essa che prima non si era mai percepita e che Raffaella trasmette mediante la sua pittura.

Colore come emozione pura e assoluta, paesaggi della mente e dello spirito, in una tavolozza materica e fatta di pigmenti acrilici e di materiali svariati (sabbia, paste modellanti, colla, volumizzanti, oggetti di recupero) che crea, quasi musicalmente, profondità, fughe, adagi o mossi. Una pittura – la sua – di matrice informale, dominata (soprattutto nell’ultima produzione cui si è già accennato) dall'impiego della materia, che si lascia manipolare sino a fondersi, offrendo sensazioni tattili tridimensionali. La tela diviene il campo nel quale si consuma l'incontro-scontro tra la materia, il bianco e il nero, il rosso e l'oro, il vede, l’azzurro e l’argento. È, sostanzialmente, il teatro intimo di un contrasto.

‘Veggente’ quieta ed inquieta ad un tempo, con instancabile tocco di ‘leggerezza’ l'artista traccia su quelle tele il suo diario più intimo. Raffaella Soffiantini cerca un senso ‒ e un nome (Assoluto, Cosmo, Uno, Infinito) ‒ per lo Spirito che illumina la sua mano e lenisce le ferite dell’anima. Le sue opere non sono accademicamente preimpostate, ma nascono mentre essa stessa opera sulla tela: dal colore nascono le 'forme', più intuite che del tutto 'formate'. Un'arte in fieri nella quale l'elaborazione ed il percorso sono decisivi per giungere, solo al termine, al disvelamento di uno spaccato cromatico dello spirito. Non a caso, quando dipinge, dopo averne sentito l'inarrestabile impulso (un'ἀνάγκη pingendi, dove l'anànke greca è necessità ed inevitabilità fatale, in questo caso di dipingere, valore di potenza cosmogonica), giunta al termine dell'opera, si riposa (è l'ἀνάπαυσις, anàpausis: sollievo, riposo, cessazione, sospensione, ma anche ἡσυχία, esiuchìa, quiete, riposo, pace, silenzio, solitudine), sentendosi totalmente esaurita nella realizzazione stessa, come svuotata. In questo caso, possiamo parlare, come si è detto, di una Bellezza ‘redentrice’.

Sostanzialmente, le sue tele divengono come lettere di un alfabeto interiore, intimo ed etereo, una sorta di diario segnato delle proprie esperienze reso dono per tutti, o, almeno, per coloro che sono disposti a ‘guardare’ e non solo a vedere, ad ‘ascoltare’ e non semplicemente a sentire. Ogni lettera di questo ‘abbecedario’ dipinto diviene un sentimento, un’emozione, un ricordo, un’esperienza  - talora dolorosa e traumatizzante, ma resa infine sempre costruttiva - da comunicare e da condividere, arte come terapia del corpo e dello spirito: “A” come Amore, “B” come Bellezza, “C” come Casa, “D” come dolore e via dicendo. Pittura come libertà espressiva, tramite la quale medicare le ferite dell’anima e divenire e far divenire liberi, mettendosi sempre in continua discussione, senza pretendere di raggiungere mete finali. Talora vere ‘pittosculture’. Colore e ‘materia’ come ossimorici viatici di ‘eteree’ trasparenze interiori.

Fiore di loto

Raffaella, come estrema sintesi, ha preso quale simbolo di se stessa e della sua arte un fiore di loto (蓮, Hasu in giapponese) blu-azzurro che nasce dal fango. Infatti tale splendido fiore che, appunto, ha le sue radici immerse nel fango del fondale, è simbolo di rinascita e di rigenerazione vitale, di elevazione spirituale e di capacità a risollevarsi dalle difficoltà, dalle avversità e dalle bruttezza del mondo (il fango), rielaborandole e trasformandole, ‘metamorfizzandole’, in bellezza e in una nuova energia positiva; simboleggia la volontà di superare le avversità della vita e, in questa variante di colore, inoltre, rappresenta la vittoria della spiritualità sulle passioni e sull'attaccamento alle sole cose terrene.

Vediamo ora di fare alcune brevi considerazioni sui quadri qui esposti che sono da poco rientrati dalla Sicilia, da Monreale per la precisione, città alla quale la Soffiantini è profondamente legata, tanto da eleggerla, nel proprio intimo, quasi ad una sua "patria" spirituale. Tutte queste opere risalgono al 2022, ad esclusione di due (Silenzio del 2020 e Anime del 2021).

Fiamme interiori

Grazie al consenso del proprietario è presente pure Fiamme interiori , l’opera scelta per i materiali della mostra personale di Monreale. La tela è sostanzialmente suddivisa in due settori: quello inferiore, dominato dal rosso del fuoco che devasta e distrugge, brucia l’anima e tormenta come un inferno, ma anche che purifica e affina, tempera e plasma, dona luce e vita. Così, tramite la prova e il fuoco, possiamo aprirci verso l’alto ai Cieli azzurri dello spirito (rappresentati dal settore superiore della tela), dove ascendono i fumi bianco-argentei ed eterei che si sprigionano dal fuoco come larve in dissolvenza. Ecco allora che la prova interiore purificatrice diviene uno stadio dell’evoluzione dell’anima: verrete battezzati in spirito e fuoco dice Matteo nel suo Vangelo (3,11); è la grande tribolazione attraverso la quale si rendono candide le vesti, come afferma allegoricamente nell’Apocalisse (7,14). Il quadro, pertanto diviene un’epifania (annuncio) di vita.

Pioggia

Pioggia è un quadro giocato tutto sui toni del blu, del celeste, del bianco e dell’oro. I colori si diluiscono e liquefanno, si mescolano come i frammenti policromi di un paesaggio veduto nei riflessi su una strada asfaltata sotto la pioggia, dalle assonanze con alcune visioni ottocentesche di pittori impressionisti o macchiaioli. La visione, però, si fa interiore e, nell’umidità che sembra quasi si possa percepire nelle nostre ossa, in quel dilavarsi e ‘pulirsi’ del paesaggio, tra quegli schizzi che frammentano l’immagine lo spirito si rigenera, addivenendo ad una sua calma e ad una tranquillità ristoratrici.

Riflessi in uno stagno

The formal reference in Riflessi in uno stagno (Reflections in a pond) is clearly the visions of water lilies in the last paintings by Monet with his ‘aquatic’ dream. The shimmering effects of light and colour dazzle the mind, creating an opulent background that is more poignant than those flowers, to which the gold and red glistening stains in the kaleidoscope of a dream-like afternoon allude. A tremulous and changing landscape, transforming to remain ever coherent with itself, and as Proust wrote, “with that which is most profound, most fleeting, most mysterious - with that which is infinity - in the now”. Water flowers, tender water lilies as a first sketch of life that also look to certain powerful paintings, the so-called Paludosi, by Antonio Pedretti.

Corteccia

Corteccia, nella sua visione informale, si richiama alla natura e ci fa comprendere come proprio nel massimo verismo di essa è già racchiusa la più alta astrazione, che non è invenzione dell’uomo o conquista pura dell’arte del Novecento, ma già insita, appunto nella realtà, sia nel ‘micromondo’ cellulare che nel ‘macrocosmo’ dell’universo con gli ammassi stellari. A questo punto forse avrebbe quasi ragione Platone a considerate l’arte solo e sempre una mera imitazione (del mondo esteriore e naturale), se non fosse che l’uomo infonde in quell’informale, in quella terra senz’anima, lo spirito creatore, il soffio vitale ‘divino’ che già nella Genesi dava vita ad Adamo. Così in quella corteccia dorata d’albero che si desquama la Soffiantini infonde il suo ‘spirito’, accendendola di un senso d’interiorità profonda. La scorza entro la quale ci chiudiamo, feriti dalla vita e dalle avversità, la corazza dietro la quale cerchiamo invano di proteggerci, deve rompersi, sgretolarsi per aprirsi alla vita e agli altri comunque e sempre, per uscire dal chiuso entro il quale il gorgo della depressione ci farebbe soffocare. 

Tutto scorre è un’altra immagine astratta di riflessi sull’acqua tremula di un fiume, dove sembra di percepire le increspature del liquido in lento ma incessante movimento. Allusione al πάντα ῥεῖ (pànta rèi, tutto scorre) di Eraclito: tutto è in divenire. L'uomo non potrà mai fare la stessa esperienza due volte, perché, nella sua realtà apparente, è sottoposto alla legge inesorabile del mutamento. In questo effimero divenire solo il Lògos, l’autocoscienza – pare alludere Raffaella – può infondere un'armonia profonda che governi la perenne dialettica e dare un senso e identità alla vita.

Tramonto in palude

In Tramonto in palude, nella sua fantasmagoria di colori di un tramonto infuocato, ritroviamo uno spiccato lirismo, che rivela ancora l'eco dell'impressionismo monetiano ed il tema pedrettiano dei fiori di palude, oltre che un richiamo a certi bozzetti materico-informali, cupi-luminosi ad un tempo, di paesaggi brianzoli di Pietro Maggioni.

Apertura alla libertà

Apertura alla libertà rappresenta un’evoluzione stilistica rispetto alle opere precedenti, per l’inserimento di oggetti incollati sul supporto pittorico, con lato riferimento formale alle Accumulazioni di Arman. Ma il significato è profondamente diverso. Pur impiegando mezzi cari al dadaismo duchampiano e al neodadaismo, l’intento non è quello di affermare polemicamente come tutto possa divenire ‘oggetto d’arte’ o come i rifiuti della società dei consumi sfrenati possano assurgere a nuova identità e vita (Arman), bensì l’oggetto del quotidiano inserito sopra la tela, una vecchia chiave, al centro di una rete nera a scacchiera dipinta su un fondo monocromo rosso, allude all’aprirsi di una grata, della porta di una prigione entro cui siamo rinchiusi. Raffaella, così, indica il suo riaprirsi, dopo molte avversità e tribolazioni fisiche e spirituali, alla vita e alla libertà, quella di persona umana e di donna, in una società che ancora, al di là delle affermazioni più o meno ipocrite, pare recludere in maniera razzista interi popoli, categorie, persone e la donna stessa.

Primavera

Poi, in questo evento, troviamo Primavera, ancora una volta un indiretto richiamo a certe opere di Pedretti, pur nell’originalità di quel verde smeraldo che richiama alla mente le acque paludose ricche di alghe. 

Lacerazioni

Con Lacerazioni si passa a un livello successivo, dove l’opera si fa più gestuale e materica, tridimensionale come una carta geografica a rilievo, irrigidita, polimaterica. Le increspature, i ‘tagli’ profondi (come canyon), le violente macchie rosso sangue alludono alla drammaticità di una ferita nell’anima e l’acceso cromatismo ed il segno dirompente divengono puro pathos gestuale wolsiano, come pure in Grido (si noti quella ‘bocca’ aperta, rosso sangue, sulla sinistra), visione disperata d’angoscia e di dirompente e lancinante dolore cosmico, astrattamente munchiano. Un ‘urlo’ espressionista che però libera l’animo da un’insopportabile pressione.

Interruzione

Sulla medesima falsariga è anche Interruzione, potente e cupa raffigurazione informale ed ‘esplosiva’, emotivamente travolgente, dove quel ‘cuore’ rosso centrale sembra rompersi e dilaniarsi nel nero che lo circonda e il vetro rotto del bicchiere, inserito tra le pieghe irrigidite di un colore spesso e materico, ferma l’attimo fuggente in cui la vita sembra fermarsi per sempre. 

Tecnicamente simile, ma dove la musicalità dell’opera si fa più calma ed intimista, è invece Monocromo, tutto giocato sugli opposti eterni e complementari del bianco e del nero, con assonanze gestuali vedoviane.

Le increspature si enfatizzano poi nell’omonimo quadro in monocromo viola (non assoluto, avendo ‘macchie’ d’oro come fantastici fiori esotici o volatili), dove la stoffa spiegazzata avvolge interamente il supporto e straborda, irregolare, sui lati, come ‘impacchettando’ il quadro, secondo una prassi seguita anche da vari altri artisti contemporanei.

Sintesi di paesaggio è una visione astratta, in cui, come sottolinea il titolo stesso, la Soffiantini sintetizza l’immagine attraverso le ‘fasce’ orizzontali susseguenti del verde in basso (allusione ad un primo piano di un prato), dell’arancione-rosso-oro (che richiama alla mente un campo coltivato a grano o con papaveri) e dell’azzurro (il cielo). Qui i richiami compositivo-cromatici sono a certi paesaggi di Ennio Morlotti, ai Color Field di Rothko e ad alcune delle tele di Salvatore Emblema. 

Tormento

Tormento, invece, nei toni diluiti del viola e nella gestualità della sua pennellata zigzagante a creare come gorghi di colore, rimanda formalmente all’infrangersi di spumose onde marine su una rupe, dove naufraga il pensiero dell’artista, negli abissi dell’inconscio, dalle sonorità wagneriane come una novella ed ammaliante, disincantata e triste Lorelei tra le onde del Reno, così come la cantò nella sua poesia Heine nel 1824, la musicò Alfredo Catalani nel 1887 o la dipinse Otto Vermeher a fine Ottocento. Ma le sensazioni che proviamo di fronte a quest’opera sono pure quelle che avevamo osservando il Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, fatto di romantico, vibrante senso del Sublime, un mare cosmico nel quale si perde l’osservatore, riflettendo impietosamente ed attonito, nella sua nudità, la propria anima, la sua fede, con tutte le proprie incertezze, i suoi errori, i suoi dubbi. 

Iris

Iris è nuovamente un’esplosione cromatica e materica d’omaggio alla natura e allo sbocciare di questo fiore primaverile, simbolo dei colli Fiorentini fin dall’Ottocento, quando era caro alla colonia anglo-americana della città.

Anime

Anime è un caleidoscopio di rutilanti cromie date ad espressiva ‘macchia’, negli oro e nei rossi delle quali, ‘strisciati’ verticalmente sulla tela, s’intuiscono come ectoplasmi frementi nella luce dell’amore paradisiaco di dantesca memoria, “che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, Canto XXXIII, ma anche quel ‘laico’ “amor che nella mente mi ragiona”, Rime, LXXXI).

Silenzio

Infine, è presente un quadro che cronologicamente è di pertinenza di una prima serie di opere dipinte da Raffaella: Silenzio. È un’opera non materica, acquosa e ‘trasparente’ quasi come fosse un acquerello, un incantato tramonto che diviene malinconica riflessione intimista ed esistenziale, fatta di ultime accensioni del giorno e di soffuse nebbie che avvolgono la terra, intuite più che raffigurate nella loro oggettività formale. Ma in quell’astrazione, fatta di puro colore digradante in infinite nuance, vi è tutto il senso e l’essenza di un tramonto nostalgico, di quell’ora che, come direbbe sempre Dante, “volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core / lo dì c'han detto ai dolci amici addio; / e che lo novo peregrin d'amore / punge, se ode squilla di lontano / che paia il giorno pianger che si more” (Purgatorio, Canto VIII). In questa astrazione lirica della Soffiantini ritroviamo tutto il magico sentire che è presente negli ultimi acquerelli astratti di Antonio Corpora o in certi cieli abbozzati di Marrakech sognati e dipinti da Salvatore Magazzini.

Infine, due opere senza titolo, per così dire ‘aeree’ e ruotanti su se stesse. Opere circolari come monete e, come esse, con due facce: una a foggia di piccola aiuola, fatta di pietre, muschi, licheni artificiali e legni, che rimanda a ikebana e a giardini orientali, ma anche ai moderni “giardini verticali” ricavati sulle superfici dei prospetti di edifici ed hanno late assonanze con l’arte Pop ‘ingigantita’ fuori scala dello svedese Claes Oldenburg e con i Tappeti-natura in poliuretano espanso di Pietro Gilardi; l’altra che si richiama al disco cosmico di un pianeta o lunare, astratto e scabroso nella sua materica e increspata, rugosa e screpolata superficie cromatica, che formalmente trova raffronti con le notissime Lune di Paola Romano. La Soffiantini, così, affronta anche il tema ecologista e vuole denunciare l'intervento dell'uomo che ha trasformato la natura in realtà asettica e del tutto artificiale.

Parallelamente Raffaella è anche disegnatrice, creando convincenti soggetti più o meno latamente figurativi, che si richiamano al dinamismo del segno futurista: ammassi vorticosi, ellissi e figure che s’intrecciano in un groviglio fantasmagorico dalle assonanze surreali, per esprimere ricordi, sensazioni ed emozioni, sulle ali di un intimismo calligrafico evocativo ed onirico. 

Le opere esposte sono quasi tutte risalenti al 2019, un anno importante e per alcuni versi drammatico nella vita dell’artista. Come intuiamo dalle forme turbinose e dai coloro vivi e ‘violenti’ e come contribuiscono a rivelare anche i titoli stessi, rappresentano una lettura interiore dell’anima di Raffaella, che, dopo un evento traumatico quasi preannunciato da una quiete prima della tempesta, si riapre lentamente alla vita, sulle note di un sogno ad occhi aperti (dalle sonorità ‘jazz’), fatto di libertà e d’amore incondizionato. Il respiro si dilata, per volare in alto, cadono le maschere, si percepisce il pulsare cosmico. Le forme di un autoritratto picassiano si perdono entro geometrie futuriste, grandi occhi (specchi dell’interiorità, derivati da certi collage del Futurismo: basti pensare al FuturOcchio del 1915 dell’allora giovanissimo Giuseppe Ciotti, dove lo sguardo ‘nuovo’ era in contrasto con la vecchia visione conformista simboleggiata dalla reclame di Argor, “per i malati di occhi”) si aprono surrealisticamente nelle ellissi e nei cerchi, cuori dialogano in empatia con strane creature. Nel soffio trasparente di un respiro cromatico quasi s’intravedono astratti animali, in una forma statica quasi s’intuisce una natura morta alla maniera ‘pop’ di Tano Festa. E ancora il volo di un gabbiano si sovrappone ad un cuore, il tutto attraverso intrecci, sovrapposizioni, accelerazioni, contrazioni e implosioni, nei colori dinamici si un Giacomo Balla, scelti e ‘selezionati’ con gli occhi della mente ancor prima che con la vista, tra accenti ‘musicali’, in dinamico contrappunto, fra l’emozionale ed esistenziale Jazz Improvisation di ascendenza afroamericana dei bar di New Orleans (si pensi al notissimo brano Body and Soul, composto nel 1930), lo stile bebop di Charlie Parker e il più pacato Cool Jazz che fuorusciva dalle trombe di Shorty Rogers.                                        

Giampaolo Trotta

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Presentazione mostra “Disegni/Drawings” di Raffaella Soffiantini a Firenze - 2022

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